Ultima cena (Koder)
Sembra un forno, la piccola stanza del Cenacolo dove l'artista Sieger Köder dipinge la sua Cena. Un forno caldo e accogliente attraversato però da un'ombra improvvisa.
Attorno alla tavola ci sono i Dodici, anzi gli Undici perché Giuda se n'è già andato, se ne sta andando in quel momento. Lo scopriamo d'improvviso perché tra i volti degli apostoli ce n'è uno colto nell'atto di voltarsi verso un uscio nascosto nell'area più oscura della stanza. Giuda è lì, confinato fra la tavola e la porta. Ha appena preso il boccone dalla tavola, ha udito le parole del Maestro: «Quello che devi fare fallo presto» ed eccolo sull'uscio, pronto per essere inghiottito da quella notte che prima di essere un’annotazione temporale descrive lo stato dell'anima del traditore.
Sono così i traditori di ogni tempo. Ogni generazione ha i suoi: erano cristiani - direbbe Paolo - ma non erano dei nostri. E dentro questa affermazione paolina si nasconde tutto il dramma del giudizio e della misericordia. Da un lato Giuda non era dei loro, dall'altro era con loro, era tra loro, anzi: era stato scelto da Cristo. Così in quella notte si nasconde l'attenuante della misericordia: Giuda esce da quell'antro di salvezza che era il cenacolo, esce dall'arca della nuova alleanza nascosta tra le pareti calde di quel luogo, e si consegna alla notte della confusione.
Gli altri restano lì: undici teste che ruotano attorno alla mensa più gravida di senso e di storia che si sia mai potuta raccontare.
Un carosello di mani e di volti in cui si declinano tutti i sentimenti umani verso il Mistero: gesti e volti imploranti, pensosi, sorpresi, impauriti, oranti...
Una mano tocca la tavola, una sola, ed è dell'apostolo che si piega in contemplazione. Cosa vede? Cosa guarda? Vede i segni posti sulla tavola, vede l'ombra della croce stagliarsi sul biancore della tovaglia e su quella croce ecco il pane, segno di un corpo dato, quello di Cristo. Il pane ha la forma del mondo: è un corpo dato per la moltitudine, quella di ieri e di oggi, quella dei secoli a venire. É un pane che, così disposto, lascia intravvedere la forma di due lettere greche: Chi Ro. Cristo Redentore, un acronimo che per i cristiani della prima ora aveva tutto il senso profondo della risurrezione. Quel corpo, dato per la nostra salvezza sulla croce, risorgerà.
Ed ecco allora il significato della bianca tovaglia, di quel telo in cui riposa tutta la luce del quadro: è preannuncio del telo sindonico, testimone silenzioso della Risurrezione di Cristo.
C'è un’altra mano appoggiata, quasi distrattamente, sulla tovaglia è quella dell'apostolo che attende quel pane. Chi glielo porge ha gli occhi pieni di luce, guarda verso di noi. Guarda verso quel calice che sta al centro della scena e della tavola. È il calice di Cristo, sorretto dalle mani stesse del Salvatore. È qui Köder ci rivela il suo sguardo mistico, indagatore, capace di sottrarre alla polvere della memoria le bellezze antiche e mai tramontate. In quel calice, e solo in quel calice, ci è dato di vedere il volto del Signore. Gesù, infatti, non lo si vede , ciò che vediamo di lui è solamente il volto sigillato in quel vino.
Köder ci racconta la dimensione sacramentale del Giovedì Santo. Nel cuore del cenacolo si consuma quell'offerta totale del Cristo che diventerà vita, storia e sacramento nei giorni seguenti. A noi è dato di incontrare questi stessi eventi solo attraverso il Santissimo Sacramento. Di Gesù vediamo il volto riflesso nel vino e le mani, perché è questo che noi vediamo in ogni Eucaristia: le mani di chi celebra in persona Christi, le mani del Sacerdote, ci restituiscono intatto e vivo l’incontro con lo sguardo e il corpo del Signore.
Tutto questo sigillato in un Triduo Pasquale che ci apprestiamo a vivere e che Köder sintetizza in quella tovaglia: ecco sigillato nel tempo, dentro il Sacramento della nuova alleanza, quel Sangue versato per le moltitudini che ancora ci salva.
28-03-2013 http://www.lanuovabq.it/it/articoli-una-mensa-al-centro-della-storia-6128.htm
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